Apertura del Governo, che intende risolvere il pasticcio creato dal legislatore sul mancato riporto delle perdite per le imprese in regime di contabilità semplificata per cassa. A seguito di un’interrogazione parlamentare presentata ieri dagli onorevoli Pagano e Centemero è stata immediata la risposta del Governo «che si propone di intervenire, compatibilmente con i vincoli di bilancio, nel senso auspicato dagli Onorevoli interroganti». Per gli interroganti, si deve «scongiurare il rischio di fallimento di due milioni di imprese eventualmente introducendo una norma correttiva che, in caso di perdite, consenta il riporto delle stesse negli anni successivi, senza limitazione alcuna».

 

Questo perché, a partire dal 2017, il regime di contabilità semplificata prevede la deduzione integrale delle rimanenze finali nel primo anno in cui si applica il criterio di cassa. È infatti stabilito che il reddito d’impresa del periodo d’imposta in cui si applicano le norme relative alle imprese minori in regime di contabilità semplificata è ridotto delle rimanenze finali che hanno concorso a formare il reddito dell’esercizio precedente secondo il criterio di competenza. Il “passaggio” dal criterio di competenza a quello di cassa prevede perciò la rilevanza, come componente negativo, dell’importo delle rimanenze finali che, nella stragrande maggioranza delle imprese commerciali, determina una chiusura in perdita che, per legge, non potrà essere riportata negli anni successivi. La mancata previsione del “riporto” delle perdite in anni successivi può comportare gravi conseguenze alle imprese con rimanenze finali di ammontare elevato. Gli effetti che ne derivano potrebbero comportare:

  • un rilevante risultato negativo nel 1° anno di passaggio dal criterio di competenza a quello di cassa;
  • redditi d’impresa esagerati negli anni successivi.

 

I contribuenti potenzialmente interessati sono oltre due milioni, di cui circa 439mila società di persone, tra Snc e Sas, e 1,76 milioni di imprenditori individuali. Sono considerate “minori”, le imprese di servizi con ricavi non superiori a 400mila euro o a 700mila euro per le imprese aventi per oggetto altre attività.

 

La “palla” passa ora al Governo che si è proposto di intervenire, per rimediare ad una palese svista del legislatore. Il rimedio è semplice. Nella determinazione del reddito, le imprese dovranno tenere conto sia delle rimanenze finali che hanno concorso a formare il reddito dell’esercizio precedente, sia delle rimanenze finali del periodo d’imposta che forma oggetto della dichiarazione dei redditi. In questo modo, si eviteranno gli effetti anomali di perdite rilevanti in un anno e redditi esagerati in altre annualità.

 

Fonte: Quotidiano del fisco